Perché è coinvolto nel Consiglio di esperti di Altea?
Data la mia specializzazione in malattie a carico del tessuto polmonare, ho avuto a che fare relativamente presto con pazienti affetti da COVID-19. Si trattava quasi sempre di casi gravi e molti dovevano essere sottoposti a ventilazione. Pertanto, ci siamo chiesti se queste persone si sarebbero riprese rapidamente o avrebbero dovuto soffrire a lungo di dispnea. Parallelamente, si moltiplicavano i casi di Long COVID anche in persone con decorsi meno gravi. Ecco perché il progetto Altea mi è sembrato molto utile e vi ho aderito sin dagli albori.
Qual è la sua relazione professionale con il Long COVID?
In qualità di pneumologo, sono interessato a scoprire se chi ha contratto la malattia COVID-19 riporta danni a lungo termine ai polmoni, o meglio al tessuto polmonare.
Per venirne a capo, un gruppo di interesse all’interno della Società svizzera di pneumologia ha creato un protocollo di studi e ha reclutato vari centri. In questo quadro, abbiamo visitato i pazienti a quattro e dodici mesi di distanza dalla malattia. La prima parte dello studio è già stata pubblicata, mentre la seconda lo sarà a breve. Il gruppo ha anche pubblicato delle Linee guida sul Pulmonary Long COVID.
Ciò che possiamo affermare già ora è che la maggior parte dei pazienti che ha avuto un decorso grave ha in seguito mostrato un netto miglioramento. Gran parte di questi pazienti della prima ondata non è più in cura. Tuttavia, esistono purtroppo anche dei casi isolati in cui i polmoni non si sono ripresi ed è stato addirittura necessario ricorrere a un trapianto.
Che esperienze ha avuto finora con il Long COVID?
All’inizio il mio lavoro, e quindi anche la mia esperienza relativa al Long COVID, si concentrava molto sui polmoni e sui pazienti con decorso grave. Col tempo, data la varietà dei sintomi abbiamo iniziato a collaborare anche con altri specialisti come otorinolaringoiatri o neurologi, anche per i pazienti con decorso lieve. E quando ha iniziato ad ammalarsi anche il personale del nostro ospedale, il tema ha assunto una portata ancora maggiore.
È fondamentale anche coinvolgere i terapisti. Così ad esempio abbiamo sviluppato un programma dedicato al Pacing e una “formazione sulla gestione dell’energia” che vedono la partecipazione di fisioterapisti, ergoterapisti e psicologi. Dal momento che nella ricerca c’è ancora molto da scoprire, si tratta in particolare di accumulare conoscenze e scambiarsi esperienze.
Il fatto di non disporre (ancora) di questo know-how può essere frustrante non solo per i pazienti, ma anche per noi medici, perché capita di non poter proporre molte soluzioni alle persone colpite, se non il tentativo di trattare determinati sintomi.
“Il fatto di non avere ancora questo know-how può essere frustrante non solo per i pazienti, ma anche per i medici.”
Come guarda al futuro per quanto riguarda il Long COVID?
Spero che la vaccinazione possa prevenire il maggior numero possibile di decorsi gravi, e di conseguenza anche i danni agli organi. Questo proteggerebbe già molti pazienti. Inoltre, auspico che la ricerca trovi degli approcci utili per influire positivamente sul decorso, in modo che ad esempio i pazienti non si trovino in balia della Fatica. Anche gli approcci farmacologici sono assolutamente plausibili. Questa malattia ha le ore contate, dal momento che la ricerca è impegnata a livello internazionale per combatterla. È importante essere aperti a ciò che accadrà.
Quello che possiamo osservare è che il Long COVID si presenta con varie forme. Sono certo che le persone che ne soffrono possano essere classificate in sottogruppi. In questo modo a mio avviso ci sono buone probabilità di aiutare gran parte di loro. Tuttavia il problema è più complesso di quanto non si pensasse quando lo si è battezzato semplicemente come Long COVID. E penso che si presenteranno altri sintomi che non saremo in grado di spiegare da un punto di vista biologico.
“Questa malattia ha le ore contate, dal momento che la ricerca è impegnata a livello internazionale per combatterla.”
Cosa la appassiona come persona privata?
Al momento, non vedo l’ora di andare a sciare a Davos. Sono nato in Germania e mi piace scoprire la Svizzera assieme alla mia famiglia. Amo il vento e l’acqua, ecco perché mi piacciono molto il Lago di Silvaplana, il Mare del Nord e il Mar Baltico.
Christian Clarenbach è dirigente medico nella Clinica di pneumologia dell’Ospedale universitario di Zurigo. È specializzato in malattie polmonari e disturbi respiratori.