Un tema che attualmente sta molto a cuore a chi soffre di Long COVID è se, dal punto di vista del diritto delle assicurazioni, il fatto che la diagnosi venga classificata in modo standardizzato, ovvero con un nome e un codice assegnato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, faccia la differenza o meno. Il testo che segue intende fare un po’ di chiarezza dal punto di vista giuridico.
Si tratta delle assicurazioni sociali
Prima di tutto occorre stabilire quale sia il quadro giuridico. In Svizzera, in linea di massima le assicurazioni si suddividono in sociali e private. Le prime comprendono ad esempio l’assicurazione obbligatoria delle cure medico-sanitarie (LAMal), l’assicurazione per l’invalidità (AI) o l’assicurazione infortuni (AINF).
Assicurazioni private: differenze sostanziali
Spesso questa tutela assicurativa viene integrata per mezzo delle assicurazioni private (LCA), ad esempio l’assicurazione complementare a quella obbligatoria delle cure medico-sanitarie. Nell’ambito dell’assicurazione privata, le prestazioni sono determinate facendo riferimento alle basi contrattuali, spesso in particolare alle condizioni generali di assicurazione. Poiché esistono moltissime soluzioni contrattuali, dal punto di vista delle prestazioni che le assicurazioni private sono tenute a erogare è praticamente impossibile formulare delle affermazioni generali. Ecco perché in questo articolo ci concentreremo sulle assicurazioni sociali.
La legge non prevede che il danno alla salute debba essere necessariamente attribuito a una diagnosi chiara.
Le basi giuridiche delle assicurazioni sociali si trovano nelle relative leggi. All’art. 3 cpv. 1 (LPGA) si definisce in modo uniforme il concetto di malattia dal punto di vista dell’intero diritto delle assicurazioni sociali. È considerata malattia qualsiasi danno alla salute fisica, mentale o psichica che non sia la conseguenza di un infortunio e che richieda un esame o una cura medica oppure provochi un’incapacità al lavoro.
Non è necessaria una diagnosi ben precisa
Nel testo della legge risulta chiaro che non è necessario che il danno alla salute fisica, mentale o psichica trovi riscontro in una diagnosi ben precisa.
Quindi, affinché si soddisfi la definizione giuridica di malattia sono necessari due criteri:
- le condizioni fisiche e/o mentali devono essere diverse da quella che la medicina definisce normalità (componente medica) e
- necessario un esame o una cura medica oppure deve essere presente un’incapacità al lavoro (componente riferita alle prestazioni).
Dal punto di vista medico, al momento il Long COVID presenta ancora molti aspetti poco chiari, fatto che non sorprende considerando che la sintomatologia è ancora recente. Pertanto occorre tenere presente che, purtroppo, al momento la ricerca medica non è ancora in grado di diagnosticare in modo uniforme e generalmente riconosciuto la molteplicità dei sintomi.
Dal punto di vista medico ci sono ancora molti aspetti poco chiari. È normale considerando la sintomatologia recente.
Anche l’ultima versione della Classificazione internazionale delle malattie (ICD-10-GM versione 2021) non apporta modifiche, perché anche al suo interno si introduce solo una correlazione con il COVID-19 (ai codici U09.9 e U10.9).
Sintomi diversificati
Il Long COVID presenta sintomi diversi. Nella ricerca sono riportati fatica, disturbi dell’olfatto, cefalea, depressione, disfunzioni cognitive, nausea, disturbi respiratori, tosse, ecc. Ma anche se al momento il Long COVID non costituisce una malattia a sé stante ai sensi dell’art. 3 cpv. 1 della LPGA, i singoli sintomi concreti correlati a un’infezione acuta possono benissimo presentare le caratteristiche di una malattia ai sensi dello stesso articolo, se gli effetti sono sufficientemente obiettivi.
Anche i singoli sintomi e disturbi possono soddisfare la definizione di malattia.
Se un assicuratore sociale dovesse rifiutare il proprio obbligo di assunzione delle prestazioni poiché manca una diagnosi di Long COVID, ne risulta che non è corretto, a condizione che i medici curanti abbiano presentato la richiesta relativa al caso corredata da una sufficiente descrizione dei sintomi. Non è l’“etichetta” attribuita a una malattia a determinare se questa sussiste dal punto di vista giuridico, bensì i suoi effetti sulla salute fisica, mentale o psichica della persona colpita sulla sua capacità lavorativa.
Il fattore decisivo non è l’etichetta data alla malattia, bensì le sue conseguenze su salute e/o capacità lavorativa.
Il problema della riabilitazione
Un problema particolare si pone per quanto riguarda la questione dell’assunzione dei costi per il soggiorno in una clinica di riabilitazione. Affinché le casse malati coprano i costi del ricovero, deve sussistere una cosiddetta “necessità di cura ospedaliera”. Tale necessità si presenta nel caso in cui le misure diagnostiche e terapeutiche necessarie possano essere eseguite in maniera opportuna solamente presso un ospedale (ovvero attraverso un ricovero ospedaliero), dal momento che necessitano per forza di cose delle strumentazioni o del personale presente in tale struttura, oppure se non vi sono disponibilità di trattamenti ambulatoriali e la prospettiva di un trattamento efficace sussiste solo nell’ambito di una permanenza ospedaliera. Dal momento che questo giudizio non si basa su criteri facilmente definibili, per i soggiorni di riabilitazione è decisiva la preventiva garanzia d’assunzione dei costi da parte della cassa malati. In questo articolo sono riportate le informazioni dettagliate sulla questione dell’assunzione dei costi di riabilitazione (in tedesco).
L’avvocato Sebastian Lorentz (lic. iur.) è membro della Verband Covid Langzeitfolgen (Associazione per le conseguenze a lungo termine del COVID) e partner dello studio Lorentz Schmidt Partner Rechtsanwälte (rehaanwaelte.ch).